E se a un certo punto vostra figlia vi risponde con una parolaccia? Vi dà un brutto epiteto?
Altolà, direte voi. Eh no, le parolacce non me le faccio dire. Col ditino puntato in alto, lo so, insomma certi limiti non vanno superati.
Ma metti che riesco a risolvere la situazione.
Insomma devo portare la Cate a scuola. E siamo pure in ritardo.
Parto sgommando dal cancello, poi sbaglio a mettere la seconda, e la frizione mi gratta di brutto.
«Ops» faccio io.
«Deficiente» fa lei.
«Coosa?!»
Calmo Andrea. Se vai col pilota automatico, se vai di sclero qui finiamo nella prossima rotonda. Inoltre è un momento di prova e lo sai, hai letto plurimi libri, va bene forse non erano libri ma video su Instagram, sì insomma l’importante è che tieni a bada il kraken interiore.
«Dai Cate, non si dice.»
«De-fi-ciente.»
«Ma io ti dico così, cioè ti chiamo mai “deficiente”?»
«Sempre.»
«Ma sempre quando, ma allora vuoi litigare, adesso mi dici l’ultima volta che ti ho detto…»
Poi mi fermo perché sto passando pericolosamente alla forza oscura.
Serve una manovra di accerchiamento.
«A-ha! Ho capito» le faccio. «Lo dici nel senso di deficere, che è latino, “mancare in qualcosa”. In effetti io ho mancato la marcia.»
«No.»
«Va be’, non vuoi parlare. Chiusa qui.»
«Ma guarda papà che non ti ho detto deficiente perché hai sbagliato qualcosa. Ti ho detto deficiente perché sei deficiente.»
Considerazioni:
a) la mia Pandina è ancora intera, e la rotonda pure, e questo è ciò che conta
b) in fondo alla Cate dà solo fastidio che non mi sono arrabbiato come voleva lei. Tzé.
c) tra l’altro se avessi grattato la frizione con accanto la Franci, ne avrei sentite su di più. Mooolte di più. E il latino non mi sarebbe servito